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Non tocca a noi a far l’istoria di quei fatti militari. Cadde Taormina, cadde Catania; si resero Siracusa ed Augusta; la parola di tradimento fu mormorata, ma detta in momenti di terrore e di disordine, è stata posta in oblio dalla storia imparziale. Mieroslawski, per le avverse prove, per la perduta fiducia, e per una ferita ch’ebbe in sorte, si ritirò dal comando; infine il governo venne autorizzato dalle Camere ad accettare buoni offici di mediazione offerti dall’ammiraglio Baudin.

Il Ministero dette la dimissione e furono chiamati a surrogarlo uomini non certo spartani in fatto di annegazione per la guerra patria. Il Parlamento, quasi sentisse rimorso dalla pace in massima accettata, non si riunì più sin dal 17 aprile del 1849; e il presidente dei governo provvisorio convocò al ministero degli affari esteri una numerosa adunanza per chiedere che consiglio dovesse adottarsi, ove convennero le persone più influenti e più stimate del paese, che poi si divisero senza aver preso alcun partito.

I più pavidi cominciarono a lasciare Palermo. Il domani altra riunione ebbe luogo in casa di Ruggero Settimo e v’intervennero, tra gli altri, Michele Amari, lo storico, il barone Casimiro Pisani, Matteo Raeli, il barone Giuseppe Natoli, Paolo Paternostro, Francesco Crispi, Giuseppe Lafarina, Francesco Paolo Caccio, Giacinto Carini e Rosolino Pilo Gioeni, nomi che abbiamo qui notati perchè tutti oggidì conosciuti nella politica dell’Italia unita. Ma a nessuna decisione si venne: meno pochi, quasi tutti avevano perduta ogni sorte di speranza; e lo scoraggiamento che genera nella vittima il successo del traditore si era aperto il varco nel loro animo.

Ruggero Settimo, colle lagrime agli occhi e col più profondo dolore, diceva esser pronto a fare qualsiasi cosa si fosse creduta utile alla patria e correr di nuovo, al bisogno, i pericoli delle prime giornate del 1848, a cimentarsi anche pazzamente per sè stesso, ad affrontare ogni specie di rischi e di sacrifici; soggiungeva veder nondimeno che gran numero di cittadini, intimiditi o disperanti, non volevano più sen-