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esosi quelli che si presentavano come loro sostegni, e che a poco a poco, vittime d’un maneggio del governo, caddero nella rete premeditata, e vollero darsi l’aspetto di conquistatori, mentre forse realmente erano stati spinti a conculcar la Sicilia dalla semplice ignoranza.

Dopo i fatti del 1812, del 1820 e del 1848 era tale la tensione tra i popoli di Napoli e dell’Isola, tra cui correva il rapporto non di fratelli a fratelli, ma di oppressi ad oppressori, che si giudicava imminente un grande scoppio di disperazione, il quale avesse per effetto l’intiera espulsione dei borbonici, o il totale annichilamento di ogni senso civile e generoso.

Quest’atto di disperazione fu di fatto il moto del 4 di aprile, lo sbarco di Garibaldi, lo sforzo supremo di Calatafimi, di Palermo e di Milazzo. La Sicilia divenne libera.

Per l’innanzi sola cagione di mutuo livore fu la tirannide che per sete d’impero divideva; abbattuto il giogo, si ritornò fratelli, e le schiere di Garibaldi, rese più forti ancora da nuovi soldati, sbarcarono in Calabria ed a marcia trionfale liberarono il reame.

Il plebiscito proclamò l’annessione, l’Italia si fece, e sparirono l’autonomia di Napoli e i privilegi della Sicilia.

Gli sforzi supremi e le successive rivoluzioni, i conati della Sicilia contro i napoletani pel riconoscimento dell’indipendenza dell’isola e per la riscossa dall’assolutismo, tutta questa lotta di popolo a popolo e d’idea ad idea, è senza meno incarnata, immedesimata nella nobile e veneranda figura di Ruggero Settimo, il cui nome era il più popolare che mai nella Sicilia pria dello sbarco di Garibaldi, oggi solamente secondo al nome dell’eroe di Palermo.

Col delineare in un quadro la vita del vecchio ammiraglio, noi intendiamo rendere un qualsiasi omaggio a lui personalmente, e nello stesso tempo dare un ultimo saluto alla prisca monarchia, fondata dai Normanni, ed alle avite idee di Sicilia, che non è molto si sono sacrificate in offerta di olocausto all’attuazione del pensiero di tanti secoli: l’Unità Italiana.