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ora, apparve finalmente sul lontano orizzonte la guglia maggiore del Duomo dipinta colle più leggiadre sfumature.

A quella vista il cuore di Ermanno palpitò di gioja indicibile; man mano che si avanzava il panorama di Milano spiegavasi al di lui sguardo, ed infine un lungo fischio avvertì che la desiderata meta era toccata.

Da due anni egli non era più stato a Milano; il movimento sempre crescente di questa grandiosa città lo rese alquanto confuso, tra la gioja e la premura nel discendere, mal sapea quel che si facesse. — Certamente chi è abituato alla tranquillità della provincia, rimane non poco stordito davanti al fracasso e la confusione predominante in una stazione come quella di Milano all’arrivo di ogni convoglio.

Quell’irruzione straordinaria di vetture d’ogni genere le grida dei conduttori d’omnibus e cittadine, frammiste al fracasso dei carri ed al chiacchierio della folla portano uno sconcerto tale che dall’udito passa al cervello, e lo confonde stranamente. — Sortendo dal vestibolo esterno, Ermanno sentì stringersi per il braccio, e voltandosi vide Paolo.

— Ah! finalmente, disse costui, era tempo che tu venissi a farmi una visita; ed i due amici si strinsero affettuosamente la mano.

— Tua madre sta bene?

— Egregiamente.

— Quali novità porti da Brescia!

— Nessuna che io sappia; tuo padre l’ho visto jeri, e m’incarica de’ suoi saluti.

— E tu testardo che sei, perchè farti desiderar cotanto? da Brescia a Milano non vi ha gran tratto.

— Eh mio caro, rifletti che mi riesce assai difficile l’assentarmi, ho molte lezioni e capirai.....