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sonnolenza; la parlantina senza respiro, lo sbracciamento indiavolato del suo nuovo amico, ed il calore torpido del vino che gli bulicava nel cervello, lo balestravano lontano lontano, nel mondo della luna; un po’ per volta si appisolava, appollajandosi alla meglio sulla sedia, e proprio nel momento che sgnuccava sotto la grandine delle chiacchiere, il signor Noretti emetteva certi grugniti selvaggi che di soprassalto agghiadavano il sangue nelle vene del povero droghiere.
E sempre avanti con nuove confidenze, e nuove smanie di rabbia; quel disgraziato non la finiva più.
Era troppo! Martina ricalzò la sua scarpetta, e prendendo risoluta il braccio di suo marito, gli disse:
— Andem al caffè.
— Ci vengo anch’io — sclamò di balzo il signor Noretti.
Madama ebbe una vertigine di furore.
Uscirono tutti e tre sulla piazzetta del lago. Martina aveva addosso cento diavoli, Gaudenzio non ancora riavuto dallo sbalordimento si lasciava rimorchiare, e Noretti barcollando, sbuffava sospironi inaffiati di vino nell’aria scura.
Entrarono nel caffè; l’impiegato comandò subito