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che stava fuori atterrita; e Martina dentro, tremante come un agnello, e già pentita del passo che stava facendo.
Il dentista comprese subito che madama era la paziente; avanzò una sedia verso la finestra, dicendo con galanteria da saltimbanco:
— La si accomodi... vediamo; un dente guasto?... oh non è nulla... l’affare di un minuto, e tutto passa.
Martina si lasciò cadere rassegnata sulla scranna, e spalancò la bocca.
— Ecco lì!... veduto! — sclamò subito il dentista; — è proprio un malato da strappare!
Corse subito al canterale, prese la tanaglia, la forbì diligentemente, e Martina, là stremita, pavida, e pur bramosa di por fine a quel supplizio, sebbene proprio in quel momento quel dannato dente non si facesse più sentire.
Gaudenzio, preso da compassione, si avvicinò alla moglie, e con un sorriso di tenerezza che già da anni ed anni gli era andato in disuso, le mormorò:
— Curagi, Martina. L’è un amen!
Ma quando il dentista si avvicinò col ferro in mano, egli non ebbe cuore di star là fermo; fece due passi in mezzo al disordine di quella stamberga da zingaro, e stette con le orecchie in allarme per sentire il grido dello strappo.