Pagina:Cagna - Alpinisti ciabattoni.djvu/228

212


Entrambi si erano spogliati ruminando ciascuno il proprio malanno, e giù, sotto coltre, fra quelle lenzuola che parevano ghiacciate. Ma non c’era verso di pigliar sonno, non facevano che voltarsi e rivoltarsi, sbuffando nell’oscurità la loro irrequietezza.

Gaudenzio era febbricitante, si sentiva serpeggiare sotto le coltri certi brividi di freddo che parevano rigagnoli di acqua ghiacciata.

Si raggricciò entrando con le ginocchia nella camicia, cercando di tenersi immobile per raccogliere un po’ di tepore; ma la moglie si arrotava ora su un fianco, ora sull’altro, squassando le coperte con movimenti rapidi che mandavano ventate di freddo sotto le lenzuola.

Te fet el ventilatur? — grugnì Gaudenzio.

Martina non rispose: stette queta fin che potè, ma quel dente picchiava come sopra un’incudine; accese il lume, si vestì alla lesta, e ravvolgendosi nel suo scialle, andò a rannicchiarsi e gemere sopra il sofà.

Fuori, sempre pioggia e vento.

Suonò la mezzanotte, un’ora, due ore, e la poveretta sempre là accoccolata, un po’ su, un po’ giù, gnaulando e sbuffando sospironi.

Quel tic tic persistente, atroce, le pulsava in