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          non v’accorrea Narete;
          perch’egli avea pasciuto
          d’un’erba velenosa,
          che con mortale inganno
          prima addormenta e poscia
          gli addormentati ancide,
          s’avanti che ? velen giunga nel core
          non vengono bagnati,
          si che, ne lo spruzzar percosso il volto,
          da l’abisso del sonno
          la vita si richiami.
          Ond’io, cui nota è l’erba,
          a l’acqua corsi, ed inaffiando il capro,
          bello e vivo nel trassi.
          Ma voi colà, figliuoli,
          ch’andavate guatando?
          qualche fiera al covile?
          Niso.O Narete, una fiera
          (dirol, né fia ch’io’l taccia
          a te, perché se’ veglio,
          che fra le nevi ancor di bianche chiome
          saprai aver pietate
          dei giovanili ardori),
          giace una fiera qui, del basilisco
          più fera e più mortai, poiché se quello
          sol mirando avvelena,
          questa mirando e non mirando ancide.
          Ed ora appunto, ah vedi
          ch’ella dorme ed io moro!
          Nar.La veggio, e riconosco
          la fiera e’1 suo velen: foss’io pur buono
          a dar aita, quanto
          ho di pietà! Figliuolo,
          son vecchio, ma rammento
          la propria giovanezza,
          e l’altrui non invidio.