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a lo sdegno, al furor, a l’ira, al duolo.
Or ecco ignudo il seno,
ecco armata la mano.
O man dappoca e vile,
cosi dunque tremando
vibransi i dardi? ahi lassa, io non ho forza
che ? mio furor secondi? Or tenti il piede
quel che la man non osa.
O miei furori, o miei
disperati dolori,
voi, mia fidata scorta,
su, su venite, andiamo
per altro calle ad incontrar la morte;
andiamo al precipizio: e’ non ci vuole
molta forza a cadere.
Ma se cespuglio o sterpo
fesse ritegno a la mortai caduta?
Cosi n’avvenne appunto
ad Aminta di Silvia;
e fora mia sciagura
quel ch’a lui fu ventura. V^
Che farٍ dunque? O dèi
del cielo e de lo ’nferno,
voi, voi che m’inspirate
il desio de la morte,
voi m’insegnate ancora
come per me si muora!
SCENA II
Filino, Celia.
Fil.Oh me infelice! oh cara
tutta la gioia mia!
oh perduto mio bene!
Celia.Che voce dolorosa