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FILLI DI SCIRO
Clori.Ah che solo in udir mi raccapriccio!
Celia.Quivi ad un forte cerro
stretta legommi, e rinforzٍ i suo’ lacci
con la mia lunga chioma. Oh chioma ingrata,
oh mal nudrita chioma!
Poscia venne il crudele
a prendermi da piede ambe le gonne,
e tutte in una scossa
fin da capo squarciolle.
Or pensa tu s’allora
si fé’ per onta il mio pallor vermiglio!
Io, che, mirando ? ciel, con alte strida
chiedea là suso aita,
abbassai gli occhi a terra, e mi parea
con le palpebre chine
sotto gli occhi coprir l’ignude membra.
Ma poscia ch’io m’avvidi
de l’empio suo talento,
sospirando ver lui: — Eccomi, dissi,
a le tue brame acconcia: or vien, satolla
la scelerata fame. —
Clori.E perché dunque
cosi infelice priego?
Celia.Acciocché, divorata,
nel ventre ingordo almen fussi coperta.
Clori.E credi che i centauri
manuchin le fanciulle?
Celia.Nerea noi crede, e se ne rise allora
che ciٍ le raccontai.
Ma di’, perché voleami
aver legata e ignuda,
se non per trangugiarmi a suo bell’agio,
cosi viva e guizzante a membro a membro?
Onde già mi venia
a braccia aperte incontro,
già mi ghermiva al seno: