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che rendono il beneficio grande. Aristotale il dice: G una è quando si dل cosa grande, l’altra quando si dل con vo- lontà grande. Ma l’amante, amando, dona se stesso: qual puٍ dar cosa maggiore? E con tanta volontà si dona, che vorrebbe valer molto più, sol per far più ricco il dono. L’amor dunque è beneficio, e beneficio grande. Or per legge di gratitudine si dee render beneficio al benefattore: che perٍ dice Seneca che le Grazie si dipingono in atto di porger l’una all’altra la mano, ed Aristotale che nel mezzo delle città si edificava il tempio delle Grazie, per invitar ciascuno alla re- tribuzione del beneficio, senza la quale non puٍ esser il man- tenimento della vita civile: ed un beneficio grande dee essere riconosciuto con beneficio o maggiore od almeno eguale. Ari- stotale il dice. Ma non ci è cosa maggiore né pur eguale ali’amor altro che l’amore: convien dunque di contracambiar l’amor con l’amore, e riamar l’amante: ove certo tant’oltre procedettero i divini platonici, che colui che l’amante non riama condennarono di latrocinio, d’ingiustizia, d’omicidio e di sacrilegio. Di latrocinio, perché rubba l’anima all’amante; di sacrilegio, perché rubba cosa sacra; d’ingiustizia, perché non gli rende quanto gli ha tolto; d’omicidio, perché, non gli rendendo l’anima che si rende nella corrispondenza del- l’amore, l’amante non riamato riman senz’anima e muore. Onde, per la forza di quest’amorosa corrispondenza, nobil- mente cantarono tutti i nostri maggiori poeti: Amor, ch’a nullo amato amar perdona (Dante). Non è si duro cor che, lagrimando, pregando, amando, talor non si smova, né si freddo voler che non si scalde. (Petrarca). Che l’amata riami, ben lo sai, antichissima legge è del mio regno. (Tasso).