[St. 63-66] |
libro i. canto i |
19 |
Odendo il corno, l’Argalia levosse,
Chè giacea al fonte la persona franca,
E de tutte arme subito adobosse
Da capo a piedi, che nulla gli manca;
E contra Astolfo con ardir se mosse,
Coperto egli e il destrier in vesta bianca,
Col scudo in braccio e quella lancia in mano
Che ha molti cavallier già messi al piano.
Ciascun se salutò cortesemente,
E fôr tra loro e patti rinovati,
E la donzella lì venne presente.
E poi si fôrno entrambi dilungati,1
L’un contra l’altro torna parimente,
Coperti sotto a i scudi e ben serrati;
Ma come Astolfo fu tocco primero,
Voltò le gambe al loco del cimero.
Disteso era quel duca in sul sabbione,
E crucioso dicea: Fortuna fella,
Tu me e’ nemica contra a ogni ragione:2
Questo fu pur diffetto della sella.3
Negar nol pôi; chè s’io stavo in arcione,
Io guadagnavo questa dama bella.
Tu m’hai fatto cadere, egli è certano,
Per far onore a un cavallier pagano.
Quei gran giganti Astolfo ebber pigliato,
E lo menarno dentro al pavaglione;4
Ma quando fu de l’arme dispogliato,
La damisella nel viso il guardone,
Nel quale era sì vago e delicato,
Che quasi ne pigliò compassïone;
Unde per questo lo fece onorare,
Per quanto onore a pregion si può fare.
- ↑ Mr. e P. dilongati.
- ↑ MI. me ei.
- ↑ MI, Mr. e P. per.
- ↑ T. e MI. menorno. Mr. paviglìone.