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[St. 23-26] libro i. canto ix 171

        Subitamente salta gioso al piano,
     Dove è la fiera fera di natura,
     Che facea un crido tant’orrendo e strano,
     Che al mur de intorno potea far paura.
     Ranaldo prende sua Fusberta in mano,
     E de assalire ’l mostro si assicura;
     Ma quella bestia si scote sì forte,
     Che par che debbia romper le ritorte.

        Ranaldo non li lascia prender fiato,
     Or lo ferisce in capo, or nella panza,
     Or da il sinestro, ora da il destro lato;
     Il ferir de quel mostro era una cianza.
     Egli avrebbe una pietra, un fer tagliato,
     Ma quella pelle ogni durezza avanza.
     Per ciò non è Ranaldo sbigotito,
     Ma subito pigliò questo partito:

        A quella bestia salta sopra al dosso,
     La gola ad ambe man gli ebbe a pigliare,
     E le genocchie strengie a più non posso:
     Mai non se vide il più fier cavalcare.
     Era il barone in faccia tutto rosso:
     Quivi ogni suo valor convien mostrare;
     E quivi più che altrove l’ha mostrato,
     Chè con le mani il mostro ha strangolato.

        Poi che la bestia al tutto è suffocata,
     Pensa Ranaldo della sua partita;
     Ma quella piazza intorno era serrata
     De un grosso muro e de altezza infinita.
     Sol di verso il castello era una grata,
     Che de travi accialin tutta era ordita;
     Ben la assagiò Ranaldo con la spata,
     Ma troppo è sua grossezza smisurata.

T. lo. — 10. T. e Ml. la