[St. 7-10] |
libro i. canto v |
91 |
E ragionando poi con lui dicia:
E’ serebbe, barone, un gran peccato
Che lo ardir tuo e il fior de gagliardia,
Quanto ne hai oggi nel campo mostrato,
Perisse con sì brutta villania;[1]
Chè tu sei da mia gente intornïato.
Come tu vedi, non te pôi partire:
Convienti esser pregione, o ver morire.
Ma Dio non voglia che cotal diffetto[2]
Per mi si faccia a un baron sì gagliardo;
Unde per mio onore io aggio eletto,[3]
Da poi che ’l giorno de oggi è tanto tardo,
Che noi veniamo dimane allo effetto,
Io senza alfana, e tu senza Baiardo;
Chè la virtute de ogni cavalliero
Si disaguaglia assai per il destriero.
Ma con tal patto la battaglia sia,
Che, stu me occidi o prendime pregione,
Ciascun chi è preso di tua compagnia,
O sia vasallo al re Marsilïone,
Seran lasciati su la fede mia;
Ma s’io te vinco, io voglio il tuo ronzone.[4]
O vinca, o perda poi, me abbia a partire,
Nè più in Ponente mai debba venire.
Ranaldo già non stette altro a pensare,
Ma subito rispose: Alto segnore,
Questa battaglia che debbiamo fare,
Essere a me non può se non de onore.
E di prodecia sei sì singulare,[5]
Che, essendo vinto da tanto valore,
Non mi serà vergogna cotal sorte,
Anzi una gloria aver da te la morte.
- ↑ T. Perisce.
- ↑ MI., Mr. e P. tanto.
- ↑ MI. per il mio onor; Mr. mio onor.
- ↑ Mr. e P. vinco, voglio.
- ↑ MI. e Mr. E di prodecia sei tanto s.; P. Di prodezza sei tanto s.