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nell’altro per la sola cognizione della sua integrità; e sicurtà gliene fanno la buona natura di lui, la sua fede, la sua costanza. La dov’è crudeltà, slealtà, ingiustizia, amistà non può essere. Quando i tristi raccolgonsi insieme è combriccola non è compagnia; e’ non conversano, ma ei si guardano con sospetti: non sono amici, son complici.

Ma anche se non ci fosse tale ostacolo, tuttavia sarebbe difficile a trovar nel tiranno un amore sicuro, dacchè, essendo egli sopra tutti, nè avendo compagni, è di già fuor del confine dell’amicizia, che ha il suo pascolo nella parità, e non vuol mai traballare, anzi va sempre diritta. Ecco perchè dicesi esserci tra’ ladri qualche fede nello spartire la preda, perch’e’ son tutti d’una lega, e se e’ non si voglion bene, almeno l’uno sospetta dell’altro; e non vogliono, disunendosi, render minore la forza. Ma del tiranno che sicurtà hann’eglino mai i suoi favoriti? Niuna al mondo; posciachè essi medesimi gli hanno insegnato che e’ può quel che vuole, e che non c’è per lui o diritto o dovere che tenga; e però reputa solo signoría il far lecito del libito, il non aver pari o compagno, ma l’esser padrone di tutti e passeggiare a tutti sul capo. Non è egli dunque una vera pietà, che, con tanti esempj palpabili, con sì presente pericolo, non ci sia chi vuole imparare all’altrui spese? e che tanti si smaniino di stare attorno al tiranno; e poi non ci sia pur uno che abbia cuore e senno da cantargli ciò che, secondo l’apologo, cantò la volpe al leone quand’e’ faceva da malato: “Sire, io verrei proprio volentieri a farti visita nella tua lustra, s’i’ non vedessi di molte pedate di bestie ch’e’ vengono per codesto verso, e punte poi di quelle che tornano