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e’ voleano farsi scudo della religione, e, s’e’ potevano, accattavano un briciolino di divinità per puntello alla lor mala vita. E però Salmoneo, s’e’ s’ha a credere alla Sibilla di Virgilio e al suo inferno, sconta nel profondo dell’inferno dov’egli lo vide, l’aver così minchionato i popoli, e l’aver fatto il Giove.

Vidivi l’orgoglioso Salmoneo
Di sua temerità pagare il fio:
Chè temerario veramente ed ampio
Fu di voler, quale il Tonante in cielo,
Tonar qua giuso e folgorare a prova.
Questi su quattro suoi giunti destrieri
La man di face armato, alteramente
Per la Grecia scorrendo, e fin per mezzo
D’Elide, ov'è di Giove il maggior tempio,
Di Giove stesso il nume e degli Dei
S’attribuiva i sacrosanti onori1.

Ora, se colui, il quale in fondo non era altro che uno scimunito, è adesso trattato così bene laggiù, io credo che vi saranno trattati anche meglio coloro, i quali abusano la religione per fare il birbone.

Anche i nostri sparsero per la Francia di non so che rospi, gigli, ampolle, orifiamma, e che so io? Il che, io come io non voglio ancora discredere, dacchè nè noi nè i nostri vecchi non ne abbiamo avuto cagione veruna; essendoci toccato sempre de’ re così buoni in pace, così prodi in guerra, i quali, comecchè nati regi, e’ pare che non sieno, come gli altri, fatti dalla natura, ma che Dio onnipotente gli abbia prima di nascere eletti al governo e alla tutela di questo regno. Ma quando anco

  1. Virgilio, Eneide, Lib. VI, v. 870 ec. Traduzione del Caro.