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alla schiavitù, sia condita saporosamente quanto gli pare.

E che i libri e la dottrina più che qualsivoglia altra cosa mettono nel cuore degli uomini il sentimento del riconoscersi e di odiare la tirannía, e’ se n’è bene accorto il Gran Turco, perchè, sento dire, che nelle sue terre non c’è se non tanti sapienti quanti a lui fanno di bisogno. Per lo più non di meno, anche a esser parecchi coloro che, a mal grado dei tempi, serbarono in cuore buono zelo ed affetto alla libertà, questo e’ riman senza opera, perchè gli uni non sanno degli altri. Sotto la tirannide non si lascia loro balía nè di parlare, nè di operare; e quasi quasi nemmen di pensare: e però tutti rimangono chiusi soli nella lor fantasía. Per questo Momo aveva ben di che motteggiare, quando trovò da ridire nell’uomo fatto da Vulcano, perchè non gli avesse messo una finestrina di faccia al cuore, da poterne vedere i pensieri. C’è chi dice che quando Bruto e Cassio si misero all’impresa di liberar Roma, o meglio tutto quanto il mondo, non vollero che Cicerone, quel grande zelatore del ben comune, fosse con loro, perchè stimarono il suo cuore troppo molle a sì gran fatto: del suo buon proposito se ne fidavano; ma non vollero star alla prova del suo coraggio. Tuttavía, chi si mettesse a riandare i fatti del tempo antico, e gli antichi annali, e’ troverebbe che coloro i quali, vedendo la lor patria in cattive mani e fattone strazio, si misero di proposito a volerla liberare, pochi o punti di essi non ne vennero a capo; e che la libertà si è sempre da sè medesima fatto spalla, chi ha voluto metterla in luce. Armodio, Aristogitone, Valerio e Dione, come virtuosamente pensarono, così prosperamente il misero in ope-