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26 il contr’uno


Può esser per altro che Ulisse (e allora bisogna perdonarglielo) dovesse, lì come lì, parlar a quel modo, affine di rabbonire l’esercito montato in bestia, acconciando, com’io penso, le sue parole più al tempo che alla verità. Ma, a parlar da uomini, l’è una gran disgrazia il dovere star sotto un padrone, che non è certo se sarà buono, dacchè sta in lui l’esser tristo a suo senno: e l’aver più padroni viene a esser lo stesso che l’avere tante più gran disgrazie. Io non vo’ qui per ora discutere la questione tanto abburattata, se le altre maniere di repubblica son migliori della monarchia: e s’i’ dovessi farlo, prima vorrei che mi si facesse vedere, ma chiaro come l’ambra, qual grado ha aver la monarchía tra le repubbliche, se grado ci dee avere; ripugnandomi il credere che ci sia nulla di pubblico dove ogni cosa è d’un solo. Ma tal quistione la serbo a un’altra volta; chè ci vorrebbe un trattato apposta, o almeno si tirerebbe dietro tutte le dispute politiche.

Per ora vorrei saper solamente, potendosi, come mai tanti uomini, tante città, tante nazioni, sopportano alle volte un tiranno solo, che tanto può solamente quanto si lascia potere, e che non ha balía di nuocer loro, se non quanto piace a loro di comportarlo: che non sarebbe buono di far loro niun male, se non quanto volessero soffrirne piuttosto che contradirgli. Gli è proprio un gran che! ma è cosa tanto comune, che c’è più da dolersene che da sbigottirne, il vedere un milion di milioni d’uomini, servire pecorescamente, piantare il collo sotto al giogo senza esserci tirati per i capelli, ma in certa maniera, a quel che pare, innamorati e allettati dal solo nome di Uno, della cui possanza non avrebbero ad aver paura, essendo solo, nè volergli un