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RAGGUAGLIO LXXXIII Avendo Apollo sommamente commendato il decreto de* potentissimi regi di Spagna, che gli avvocati e i procuratori non possino passar alle Indie, i dottori di leggi gravemente se ne querelano con Sua Maestá. Non per lo governo solo eccellentissimo della maestá d’Apollo, né perché egli sia abitato dai piú fioriti e accappati ingegni dell’universo, è felice la stanza di Parnaso; ma perché l’esquisitezza del viver virtuoso, la perfezione di tutti i piú onorati costumi e la esquisitezza di quelle piú eccellenti leggi, che sparse si trovano per l’universo, con diligenza mirabile si veggono introdotte e osservate in questo Stato. Mercé che quelli che vi abitano sono obbligati portarvi le piú pregiate usanze delle patrie loro: costume che tanta utilitá ha apportata al privato, cosi gran riputazione al pubblico, che si è venuto in chiara cognizione che quella può dirsi patria felice, che non con le proprie, ma che vive con le leggi scelte da tutte le piú civili nazioni. Essendo dunque stato riferito ad Apollo che i potentissimi regi di Spagna severamente hanno proibito che all’Indie non possino passar avvocati e procuratori, nominò simile editto santissimo, e sommamente lodò la pietá di quei santissimi monarchi, che verso il mondo nuovo avessero mostrata la caritá di voler preservarlo da quel morbo che di tante lacrimevoli controversie ha riempito il vecchio. Onde Sua Maestá comandò subito che editto tanto eccellente fosse registrato in una tavola di metallo, la quale ad eterna memoria fosse poi affissa nel fòro massimo, allato le dodici tavole delle famosissime leggi romane. Non si deve lasciar d’avvisare che per cosi fatto comandamento grandemente si commossero i dottori di leggi, i quali a Sua Maestá strettamente raccomandarono l’indennitá della riputazion loro: dicendo che quando non avessero ottenuta la grazia che si desistesse dalla pubblicazione di quella legge, si dava occasione a molti d’imitar gli anconitani, i norcini, i recanatesi e altri popoli, i quali