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LIBRO DECIMO | 365 |
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Allora l’ara fu apparecchiata,
E’ fuochi accesi, e gl’incensi donati,
E ciascun’altra offerta a ciò parata,
E’ sacerdoti i versi ebber cantati
Con voce assai dall’altre trasmutata,
E’ fumi furon tutti al cielo andati:
Arcita piano incominciò a dire
In guisa tal che si potè sentire:
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O caro Iddio di Proserpina figlio,
A cui stà via l’anime portare
De’ corpi, e quelle, secondo il consiglio
Che da te prendi, le puoi allogare;
Piacciati trarmi di questo periglio
Soavemente per le tue sante are,
Le quali ancora calde per me sono,
Che a te in su quelle offersi eletto dono.
94
E quinci me in tra l’anime pie,
Le qua’ sono in Eliso, mi trasporta;
Chè se tu miri ben l’opere mie,
Non m’hanno fatto dell’aura morta
Degno, siccome fur l’anime rie
De’ miei maggiori, a’ qua’ crudele scorta
Fece Giunone adirata con loro,
Con ragion giusta a lor donando ploro.