Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LIBRO DECIMO | 357 |
68
Il gran Teseo m’avea serbata a Acate,
Col quale io giovinetta mi crescea:
Bello era e fresco nella sua etate,
E nelli primi amori assai piacea
A me: ma la mal nata crudeltate,
Che ha contro il nostro sangue Citerea,
Nel tolse, già al maritar vicina,
Benchè io fossi ancora assai fantina.
69
Questa non sazia del primo operare
Contra di me, or le veggendo mio,
Similemente mi ti vuol levare:
Adunque non t’uccide altri che io;
Io, lassa, colpa son del tuo passare:
Il mio agurio tristo e ’l mio disio
Ti noccion, lassa, ed io rimango in pene
Ed in tormento, non qual si convene.
70
Oimè! sopra di me ne andasse l’ira
Che altrui nuoce, per la mia bellezza:
Che colpa ci ha colui che me disira,
Se la spietata Vener mi disprezza?
Perch’ora contra te diventa dira?
Perchè in te discopre sua fierezza?
Maledetta sia l’ora ch’io fui nata,
Ed a te prima giammai palesata.