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142 COMENTO DEL BOCCACCI

pena all’ucciso, ma è vergogna a chi di lui rimane; e se voglian dire, egli è infamia al nome dell’ucciso, questa infamia perisce sotto l’occupazione di maggiore infamia; perocchè molto maggiore infamia è l’essersi ucciso, che non è l’essere poi gittato via a guisa d’un cane. Oltre a ciò le leggi temporali non possono nelle sue cose punirlo, perciocchè chi sè medesimo priva della vita, si priva d’ogni altra sua cosa; sicchè, perchè le leggi facessero ogni suo bene occupare, a lui non monta niente: e deesi credere, che chi di sè medeimo non s’è curato, non si cura d’alcuna altra sua cosa: e quella non si può dirittamente dir pena la quale non affligge colui al quale è imposta: e volendo la divina giustizia che impunito non rimanga così grande eccesso, quello che non può fare la temporale, si dee credere che essa supplisce, e vuole che in questi cotali sia la pena illativa, siccome ella è nell’altre anime de’ dannati, e oltre a ciò vi sia la privativa: ma perciocchè ad alcuno passato di questa vita non si può alcuna cosa torre che sua sia, se non solamente il corpo, vuole la divina giustizia ch’in questi cotali sia, credano non dovere riavere il corpo loro, come l’altre anime riaranno, comechè nella verità essi il riaranno come l’altre: e se forse si domandasse, in che sentono però queste anime danate più pena, avendo questa opinione, che l’altre non l’hanno, si può così dire: che come l’anime de’ beati desiderano i corpi loro, acciocchè come essi furono in questa vita partefici delle fatiche ad acquistar la gloria di vita eterna, così sieno con lo insieme partefici della gloria; così