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SOPRA DANTE | 265 |
dello stato dell’anime dopo la morte temporale, accioccliè prestata gli sia fede, di necessità confessa qui esser da’ poeti dichiarato poeta.
Così andammo infino alla lumiera.
Questa è la terza parte della seconda principale, nella quale esso dice, come con quelli cinque poeti entrasse in un castello, nel quale vide i magnifici spiriti, e di quelli alquanti nomina. Dice adunque, Così andammo, questi cinque poeti ed io, infino alla lumiera, cioè insino al luogo dimostrato di sopra, dove disse sè aver veduto un fuoco, il quale vinceva emisperio di tenebre. Parlando, insieme, cose, che il tacere è bello, cioè onesto, Così come, era bello, il parlar, di quelle cose, colà dov’era. Intorno a queste parole sono alcuni che si sforzano d’indovinare quello che debbano poter aver ragionato questi savii, il che mi par fatica superflua. Che abbiam noi a cercare che ciò si fosse, poichè l’autore il volle tacere?
Venimmo a piè d’un nobile castello,
cioè nobilmente edificato,
Sette volte cerchiato d’alte mura,
Difeso intorno, cioè circundato, d’un bel fiumicello. Questo, fiumicello, passammo come terra dura, cioè non altrimenti che se terra dura stato fosse. Per sette porti, le quali il castello avea, come sette cerchi di mura, entrai con questi savj, predetti: Venimmo, passate le sette porti, in prato di fresca verdura. Allegoricamente è da intendere il castello e la verdura, perciocchè nè edificio alcun v’è, nè alcuna erba può nascere nel ventre della terra,