Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
SOPRA DANTE | 263 |
rola l’autor di iattanza, dicendo ad alcuno non star bene nè esser dicevole il commendar sè medesimo: la qual cosa è vera: nondimeno il tacer di sè medesimo la verità, alcuna volta sarebbe dannoso: e perciò par di necessità il commendarsi d’alcuno suo laudevole merito alcuna fiata. E questo n’è assai dichiarato per Virgilio nel primo dell’Eneida, laddove esso discrive Enea essere stato sospinto da tempestoso mare nel lito affricano, dove non sapendo in che parte si fosse, e trovando la madre in forma di cacciatrice in un bosco, e da lei domandato chi egli fosse, il fa rispondere:
Sum pius Æeas fama super aethera notus.
Direm noi qui Virgilio, uomo pieno di tanto avvedimento, e intanto essere stato Enea in ciascuna sua operazione prudentissimo uomo, aver fatto rispondere Enea contro al buon costume? Certo non è da credere lui senza gran cagione aver ciò fatto. Che dunque diremo? Che considerato il luogo nel quale Enea era, gli fu di necessità rispondendo di commendar sè medesimo; perciocchè se di sè quivi avesse taciuta la verità, ne gli potea assai sconcio seguire, in quanto non sarebbe stato a cui caler di lui, che aveva bisogno siccome naufrago della sovvenzione de’ paesani: il quale non è dubbio niuno, che avendo di sè medesimo detto il vero, cioè che egli non rubatore, non di vil condizione, ma che pietoso uomo era, e ancora molto per fama conosciuto, avrebbe molto piuttosto trovato che se questo avesse taciuto. E acciocchè a provare questa verità aiutino i divini esempli, mi place di producere in mezzo quello che