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SOPRA DANTE | 261 |
gionassero dell’autore, domandando gli altri Virgilio, chi fosse colui il quale seco menava: ed esso dicendolo loro, e commendando l’autore molto, come i valenti uomini fanno, che sempre commendano coloro de’ quali parlano, se già non fossono evidentemente uomini infami, ne seguì ciò che appresso dice, cioè,
Volsonsi a me con salutevol cenno:
E ’l mio maestro sorrise di tanto.
Cioè rallegrossi, come colui al quale dilettava, uomini di tanta autorità aver prestata fede alle sue parole, e per quelle onorar colui, il quale esso commendato avea. È nondimen qui da considerare la parola che dice, sorrise, la qual molti prenderebbono, non per essersi rallegrato, ma quasi schernendo quello aver fatto: la qual cosa del tutto non è da credere, perciocchè l’autore non l’avrebbe scritto, nè è verisimile il dottore farsi beffe de’ suoi uditori, conciosiacosachè nell’ingegno de’ buoni uditori consista gran parte dell’onor del dottore; ma senza alcun dubbio pose l’autore quella parola sorrise avvedutamente, e la ragione può esser questa. È il riso solamente all’umana spezie conceduto: alcuno altro animale non è che rida: e questo mostra aver la natura voluto, acciocchè l’uomo non solamente parlando, ma ancora per quello mostri l’intrinseca qualità del cuore, la letizia del quale prestamente, molto più che per le parole, si dimostra per lo riso. È il vero che questo riso, non in una medesima maniera l’usano gli stolti che fanno i savii; perciocchè i poco avveduti uomini fanno le più delle volte un riso grasso,