tani, che io non discernessi, per lo splendore di quel lume, in parte, quasi dica non perciò a pieno: Che orrevol, cioè onorevole, gente possedea, cioè dimorando occupava, quel loco, nel quale eravamo. O tu, Virgilio: e domanda qui l’autore chi coloro sieno li quali hanno luce, dove quelli che passati sono non l’hanno: che onori, col ben sapere l’una, e col bene esercitar l’altra, ogni scienza ed arte. Catta qui l’autore la benivolenza del suo maestro, commendandolo, e dicendo, lui essere onoratore di scienza e d’arte: dove è da sapere, che secondochè scrive Alberto sopra il sesto dell’Etica d’Aristotile, sapienza, scienza, arte, prudenza, ed intelletto, sono in cotal maniera differenti, che la sapienza è delle cose divine, le quali trascendono la natura delle cose inferiori: scienza è delle cose inferiori, cioè della lor natura: arte è delle cose operate da noi, e questa propriamente appartiene alle cose meccaniche; e se per avventura questa si prende per la scienza speculativa, impropriamente è detta arte, in quanto con le sue regole e dimostrazioni ne costrigne infra certi termini: prudenza è delle cose che deono essere considerale da noi: onde noi diciamo colui esser prudente, il quale è buono consigliatore; ma l’intelletto si dee propriamente alle preposizioni che si fanno, siccome ogni tutto è maggiore che la sua parte. Estolle adunque qui l’autore Virgilio nelle due di queste cinque, dicendo che egli onora scienza ed arte, bene e maestrevolmente operandole, siccome appare ne’suol libri, ne’ quali esso agl’intelligenti si dimostra ottimamente aver sentito in filosofia morale e in naturale,