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222 il filocolo

volesse levare dal busto e presentarla a Florio. Allora sí grande dolore e paura gli strinse il core, che per forza convenne che il sonno si rompesse, e quasi tutto spaventato si dirizzò in piè, rimirando dov’egli era, e con le mani cercando de’ colpi che gli pareva aver ricevuti, e rimirando il suo letto, il quale imaginava dovere essere tutto tinto del suo sangue, e quello vide bagnato di vere lagrime. Ma poi ch’egli si vide essere stato ingannato dal sonno, partita la paura, pieno di maraviglia rimase, non sappiendo che ciò si volesse dire, e dubitando forte si mise a cercare del caro amico che nel sonno aveva veduto. Il quale trovato, a lui brievemente ciò che dormendo aveva veduto, narrò; di che l’amico maravigliandosi, cosí gli disse:

«Caro amico e compagno, ora non dubito io che gl’iddii con molta sollecitudine intendano a’ beni dell’umana gente. Certo tu mi fai senza fine maravigliare di ciò che tu mi racconti, però che poco avanti io tornai da Montorio, e ivi da cara persona e degna di fede udii essere da Florio la tua morte disiderata, e ordinata in qualunque maniera piú brievemente potesse. E dimandando io della cagione, mi rispose che ciò avviene per lo velo il quale da Biancofiore tu ricevesti, la quale Biancofiore egli piú che alcuna cosa del mondo ama; e per questo è di te in tanta gelosia entrato, che se egli vedesse che Biancofiore con le proprie mani ti traesse il core, forte gli sarebbe a credere che ella ti potesse se non amare. E adunque, acciò che questo amore cessi, egli cerca d’ucciderti: però per lo mio consiglio tu al presente lascerai il paese, e pellegrinando per le strane parti, della tua salute sarai guardiano. Tu puoi manifestamente conoscere te non essere possente a resistere al suo furore: dunque anzi tempo non volere perire, ma la tua giovane etá ti conforti di poter pervenire a miglior fine che il principio non ti mostra. La fortuna ha subiti mutamenti, e avviene alcuna volta che quando l’uomo crede bene essere nella profonditá delle miserie, allora subito si ritrova nelle maggiori prosperitá». A cui Fileno piangendo cosí rispose: «Oimè, or che fará Florio ad uno che l’abbia