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nota 365

decoratus ivi8, ms. decoratus est, invertito per avere il vel.; ipsemet bene ivi20, ms. ipsemet et bene: in questo et convien vedere una mera duplicazione della finale della parola precedente, perché non solo è inutile, ma guasta un vel.; Affricani ivi34, ms. Africanis (ma si tratta di Scipione, cfr. 24011; arpinas 2404, ms. arpinus1. Di altri emendamenti proposti via via dai critici non ho creduto di tener conto2.

Come fu giá stabilito dall’Hauvette, le diverse scritture petrarchesche copiate dal Bocc. di proprio pugno in ZL, cc. 73 r-74 v e 76 r-77 r3, costituiscono la documentazione ed insieme la materia del De vita; quest’operetta «contient plus de mots, plus de phrases, mais pas plus de renseignements précis»4. Ma poiché



  1. Strafalcioni del ms., che si emendano ipso facto, sono i seguenti: Petrarchi, 2383, iobileum 2388, haminum (hom-) 23932, logo (loco) 24011, predetum ivi24, gloriossime 2412, mondanarum 2421, forsam ivi6, sumersas 24219, nundum 2439 quavis (quamvis) ivi17, virtibus (virtut-) ivi23. Sciatta è l’ortografia, specie nel regime delle consonanti doppie, quasi tutte ridotte a scempie, ciò ch’è una spia di origine veneta; singolari, e parimente venete, le forme fervesserent 2402 e concupisibili 2437; noto poi aput, dulcilocus 23930, sanciones 2398, sumserit 2439 e assumsit assumsisse asumptus. L’h sta o non sta indebitamente cosí in principio di parola (hedem, ma ostes) come in mezzo (unha, exhornata, ma peribent); talvolta segna la c gutturale (Petrachus ecc., chachino 24212); curiosa è la scrittura sofus sofia nella seconda parte di phylosophus phylosophia. Scrivo infine con l’y alcune voci che nel ms. hanno l’i (Pyeridum, ydus, ymitatus -asse, prosayca -ayce, heroyco, Dyonisio, ecc.), e viceversa (Elicona); c’è anche una serie di forme (come puericia, peciit, eciam, pocius, noticia, officii, ecc.) in cui fu introdotto ti in luogo di ci. S’intende che tutte queste modificazioni sono fondate sull’ortografia adottata per gli scritti boccacceschi del tempo in cui fu composto il De vita.
  2. P. es., il De Nolhac mutò erit 24412 in erunt, evidentemente per accordare questo vb. col seguente latent, della stampa Ross., lá dove il ms. ha latet: lo scrittore usò il singolare perché si riferiva al concetto «pulcerrimam comediam» (di passaggio, rilevo la pronunzia comedíam messa in risalto dal velox). Anche et merito 24413 fu ridotto dal De N. a merito (cfr. Pétr. et l’human.2 cit., I, p. 190 e n. 2). Piú tardi il Foresti non solo riprodusse il passo secondo i sedicenti emendamenti dello scrittore francese, ma addirittura sostituí al titolo errato Philostratus quello autentico di Philologia (Giorn. stor., LXXIV, p. 258 e n. 2): io credo bensí che della sostituzione dell’uno all’altro titolo abbia avuto colpa non l’amanuense, secondo il supposto dell’Hortis (Studj, p. 316, n. 4), ma il Bocc. medesimo. Piú propenso sarei invece a considerare quampluribus 24318 come dovuto ad influsso dei due -ibus successivi, e ad emendarlo in quamplurimis (cfr. Mascetta-Caracci, Dante e il ‛Dedalo’ cit., p. 63, e anche 337, n. 1).
  3. Il verso della c. 77, ultima attuale del ms., non è visibile, perché vi fu incollato sopra un foglio cartaceo (Biagi, op. cit., p. 9); non si può escludere che le cose del Petrarca continuassero anche lí ed oltre.
  4. Notes cit., p. 116.