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xii. - a francesco nelli 157

ne venni, dove dal mio Silvano lietamente ricevuto fui. Ma tu, al quale il campo della battaglia rimase vòto, ti puoi della mia simplicitá ridere e del disarmato nimico triunfare; nondimeno, per grazia di Dio, tu non mi puoi piú oltre fare ingiuria: io sono in luogo sicuro. Ma poi alquanto, constrignendomi tu, io ho pianta la mia miseria, a divellere i denti i quali con l’epistola tua nell’innocente con tutte forze se’ ingegnato di ficcare, è da venire. Tu mi di’ «uomo di vetro», il che a tutti i mortali ed a te ed a Mecenate tuo dovevi dire, però che tutti siamo di vetro: e, sottoposti ad innumerabili pericoli, per piccola sospinta siamo rotti e torniamo in nulla. Ma tu non avevi questo animo mentre che queste cose contra me dicevi, ma con sozza macchia la constanzia mia ti sforzi di guastare. Questo non so perché, con ciò sia cosa che da te niuna cosí fatta cosa abbia meritata. Uno uomo di vetro con un piccolo toccare, pure che contro a suo beneplacito si faccia, si turba e tutto si versa ed infino allo ’mpazzare s’accende, eziandio se giustamente sia ripreso. Ma egli è da vedere, se io dico il vero, al tuo giudicio, se solamente una volta io sia suto sospinto e commosso in ira. Non sostenni io, benché con doloroso animo, la fetida ed abominevole sentina due mesi, degna da essere fuggita da’ corbi e dagli avoltoi? Certo io la sostenni. Non sono io suto straziato ed uccellato con cento vane promesse? non ingannato come un fanciullo con cento bugie? non sono io suto constretto dalle villanie e schifiltá vostre ad abitare l’altrui case? Veramente sono; e noi puoi negare, benché tu voglia. E benché queste cose sieno gravissime a sostenere, quando me versare o rompere, o furioso mi vedesti tu? Io confesso che io mi sono ramaricato teco, ma sanza romore e sanza tumulto, con voce mansueta o quasi con tacito parlare. È questo costume d’uomo di vetro essere sei mesi con taciturnitá tirato da tante bugie? Tu aresti forse voluto che io, guidato dall’esempio tuo, avessi infino al fine della vita sostenuti questi fastidi (non mi penso, però che io fussi detto meno di te paziente), acciò che con la pigrizia mia io rendessi te scusato? Tolga Dio questa vergogna da uomo usato nelle case della filosofia, dimestico delle Muse e conosciuto da uomini chiarissimi ed avuto in pregio, che, a modo delle mosche, con aggirare continuo attorniando vada ora le taverne del macello ora quelle del vino, cercando le carni corrotte ed il vino fracido, e, portando la teglia in mano, i fornari visiti ed i farsettai e le femminelle che vendono i cavoli, per portare ésca a’ colombi comperata con piccolo pregio!