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148 epistolarum quae supersunt

io non doveva cosí subito il partire, anzi la fuga dal tuo Mecenate arrappare, e che l’animo ti stava che secondo il parere mio ogni cosa mi sarebbe suta apparecchiata, e quindi non essere senno l’averlo turbato; lodando, dopo questo, il tornare. E benché la pestilenzia mi spaventi o mi contrasti il caldo della state, utile tempo mi conforti ad aspettare, e per la tua fede affermi che al desiderio mio troverò ogni cosa apparecchiata; affermando, Mecenate tuo essersi vergognato quando udí il mio partire, però che a molti sia paruto che per sua colpa mi sia partito, e che, se fede m’avesse potuto prestare, non sarebbe avvenuto che partito mi fussi, e se al tutto mi fussi voluto partire, con debiti onori e doni convenevoli me infino nella propria patria arebbe rimandato: ed altre cose piú inframmetti non meno piacevoli che gravi, quasi quel primo ardore sia ito in cenere. Ho, se io volessi, o che ridere o che rispondere. In veritá nel proprio tempo sará riserbato il riso: ma allo scritto, non come tu meriti ma come alla gravitá mia si confá, risponderò. Niuno certamente arebbe potuto questo che tu di’ scrivere, che non fusse con piú paziente animo da comportare, con ciò sia cosa che uno altro potesse per ignoranzia avere peccato: ma tu no, però che d’ogni cosa sei consapevole, e sai, contra la mente tua hai scritto. Se forse di’: — Non me ne ricorda — possibile è gli uomini sieno dimentichi; ma non sogliono le cose fresche cosí subito cadere della memoria. Che diresti tu se, poi che queste cose sono fatte, uno anno grande fusse passato, con ciò sia cosa che non ancora il sole abbia perfettamente compiuto il cerchio suo? A Messina, in quelli dí che il nostro re Lodovico morí, di questo mio infortunio si fece parola; tu adí ventidue d’aprile seguente queste cose scrivi. Dirai che sia dimentico? O buono Dio, ecco senno! non sappiendo io, del fiume di Lethe assaggiasti? Forse che n’assaggiasti: e se non n’assaggiasti, tu ti dovevi ricordare delle lettere di Cicilia a me scritte di mano del tuo messere Mecenate, egregio albergo delle Muse, con quanta instanzia io sia in quelle chiamato, con quante promesse acciò che io venga; alle quali acciò che io fussi piú inchinevole, nell’epistola scritta di mano di Mecenate era posto che io venissi a participare seco le felicitá sue. E se io volessi mentire, le lettere sono ancora intere, per dare certissimo testimonio alla veritá, se elle fieno domandate. Ma acciò che io, che so tutto, dica qualche cosa, confesso spontaneamente che io fui alquanto in pendente, lette le lettere sue. Certamente io temeva, altre volte sperto, non quelle