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«Allor surse». Qui comincia la quarta particella di questa terza parte principale, nella quale l’autore mostra come un’altra anima surgesse e dimandasselo d’alcuna cosa, ed egli le rispondesse; e però dice: «Allor», mentre io rispondea, come detto è, a messer Farinata, «surse», si levò, «alla vista scoperchiata», cioè infino a quella parte della sepoltura non coperchiata, della qual si poteva veder di fuori; «Un’ombra, lungo questa, insino al mento»: non si levò diritta in piè, come s’era levato messer Farinata, ma tanto che dal mento in su si vedea; «Credo che s’era inginocchion levata»; e cosi dovea essere, poiché piú non se ne vedea. «D’intorno mi guardò, come talento», cioè volontá, «Avesse di veder s’altri era meco; Ma, poi che ’l sospicciar fu tutto spento», cioè poi che vide che io era solo. «Piangendo disse: — Se per questo cieco Carcere», dello ’nferno, il quale meritamente chiama «carcere», percioché alcuno che v’entri mai uscir non ne puote; e chiamai «cieco», non perché cieco sia, percioché il luogo non ha attitudine niuna di poter vedere né d’esser cieco, ma percioché ha a far cieco chi v’entra, in quanto egli è tenebroso, e ne’ luoghi tenebrosi non si può veder lume; «vai per altezza d’ingegno», avendo per quella saputo trovar via e modo, per lo quale, senza ricevere offesa o doverci rimanere, tu ci vai; «Mio figlio ov’è? e perché non è el teco P» — quasi voglia dire: conciosiacosaché egli sia cosi di maraviglioso ingegno dotato, come siè tu. «Ed io a lui: — Da me stesso non vegno»; cioè per l’altezza d’ingegno che in me sia; «Colui che attende lá», e mostrò Virgilio, «per qui mi mena», cioè per questo luogo, «Forse cui Guido vostro», figliuolo, «ebbe a disdegno». — «Le sue parole» (cioè: se tu vai per altezza d’ingegno, come non è mio figlio teco?) «e ’l modo della pena», cioè vederlo dannato tra gli epicurei, «M’avevan di costui», che mi parlava, «giá detto il nome», cioè m’avevan fatto conoscere chi egli era: «Però fu la risposta», mia a lui, «cosi piena», senza mostrare in alcuna cosa di non intenderlo. È qui adunque da sapere che costui, il quale qui parla con l’autore, fu un cavalier fiorentino chiamato messer Cavalcante