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dal De Genealogia, com’egli attesta citandolo, molte pagine e le ridusse ad uso di proemio al commento del primo canto dell’ Inferno] e queste, con altre sue pagine, si ritrovano nel Contento, ch’egli non cita, e ch’è legittimo sospettare che non abbia conosciuto mai direttamente, perché niente ne imparò. Le lezioni errate de\V Epistola a Can Grande, che sono nel suo scritto ( 0, si ritrovan pure nel Comento, con altri errori di versione che, se dovessero essere imputati al Boccaccio, porterebbero a questa conclusione: ch’egli, traducendo in italiano, non s’accorgeva di dire spropositatamente pensieri consacrati in chiara dizione latina nella sua maggior opera di cultura. Le pagine che raffrontano tra il proemio dell’Anonimo (eh’è, si noti, uno scritto «composito» nettamente diviso in due parti) e quello del Boccaccio, sono, direi, senza stile, le une e le altre; potrá cercarsi se quelle raffazzonature (come la storia di «guelfo e ghibellino» a pp. 51-53 del III voi.) derivino da una fonte comune ad entrambi i testi. — Esaminando sui codici quei tratti che per un motivo o per l’altro danno piú grave ragione di sospetto, si trova che le aggiunte materialmente comprovate e riconosciute per dichiarazioni esplicite (vedi sopra) o per via di confronti (omissioni e spostamenti) vi corrispondono tutte: e ciò vorrá dire che nell’originale quei tratti non s’inserivano nel testo; e dove manchi la prova materiale dell’aggiunta, si trova d’ordinario che quei tratti son piú scorretti, con varianti piú frequenti, con una fonetica e una morfologia piú del consueto irriducibili: la qual cosa stará a significare o un’altra mano di scrittura nell’originale o per lo meno una scrittura che riusciva per qualsivoglia cagione (perché piú minuta, o piú trascurata, o interposta) meno nitida.

Sulla scorta di tal somma di prove e di indizii, scartate altre ipotesi, io mi son formata la convinzione che allo stato presente del testo del Comento si sia arrivati attraverso due momenti costitutivi ben distinti: pagina sua (e cfr., nel séguito del testo, gli altri pochi rimandi che il Buti fa al certaldese). S’aggiunga che un’introduzione scolastica sviluppata su di uno schema che, ognuno che ne sappia, può riconoscere tradizionale, s’addice bene al Buti, maestro di grammatica, lettore nello Studio di Pisa, qualificato a ragione «il grammatico» tra gli antichi commentatori di Dante (C. Hegel, Ueber den historischen ÌVei-th der dlteren Dante-Commentare, p. 54); al Boccaccio, scrittore grande e originale, no. (1) Cfr. «poliseno» (è però lezione che ha riscontro nelle stampe del De Genealogia); cfr. «iustitia praemiandi et puniendi».