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convenisse, quel cotale senza alcuna misericordia saettano e costringono a dover rientrare sotto il sangue. Della qual pena è in parte assai agevole a veder la cagione, percioché e’ par convenevole che in quello, in che l’uomo s’è dilettato, in quello perisca: questi furon sempre, si come per le loro operazioni appare, vaghi del sangue umano, e, percioché essi quello ingiustamente versarono, vuole la divina giustizia che in esso tuffati piangano; e, percioché essi furono a questa malvagia operazion ferventissimi, vuol similmente la giustizia che per maggior fervere, cioè per lo bollir del sangue, sia in eterno punito il loro; e, oltre a ciò, percioché queste violenze far non si possono senza la forza di certi ministri, si come sono masnadieri e soldati e i seguaci de’ potenti uomini, gli fa la giustizia saettare a questi cotali, stati nella presente vita loro ministri ed esecutori de’ loro scellerati comandamenti, li quali l’autore intende per li centauri: [de’ quali, peroché nella esposizion letterale alcuna cosa non se ne disse, è qui da vedere un poco piú distesamente.] [È dunque da sapere che in Tessaglia fu giá un grande uomo chiamato Issione, figliuolo di Flegiás, del quale di sopra si disse; e costui, secondo le poetiche favole, fu di grazia da Giove ricevuto in cielo, e quivi fu fatto da lui segretario di lui e di Giunone. Laonde egli insuperbito per l’oficio, il quale era grande, ebbe ardire di richiedere Giunone di giacer con esso lei; la quale, dolutasi di ciò a Giove, per comandamento di lui adornò in forma e similitudine di sé una nuvola, e quella in luogo di sé concedette ad Issione, non altrimenti che se sé medesima gli concedesse: il quale, giacendo con questa nuvola, generò in lei i centauri. Ed essendo poi da Giove, sdegnato della sua presunzione, gittato del cielo e in terra venutone, ardi di gloriarsi appo gli uomini che esso era giaciuto con Giunone: per la qual cosa turbato Giove il fulminò e mandonnello in inferno, e quivi con molti e crudeli serpenti il fece legare ad una ruota, la quale sempre si volge. L’allegoria della qual favola se attentamente riguarderemo, assai bene cognosceremo che cosa sieno gli appetiti del tiranno, e il tiranno, o di qualunque altro rapace