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ucciso, prese Persia; e quindi, ricevuto Egitto e Cilicia, e andato in Libia al tempio di Giove Amrnone, e ingegnatosi con inganni di farsi reputare figliuolo del detto Giove, vinte molte altre nazioni, trapassò in India. Quivi vinto Poro re e molte nazioni, e piú cittá edificate in testimonianza delle sue vittorie, e lasciati prefetti dove credette opportuno, andò ad Agisine fiume, altri dicono a Gange, per lo quale si discende nel mare Oceano orientale; e quivi soggiogate alcune nazioni, navicò agli amóri e a’ sicambri, li quali non senza suo gran pericolo vinti, messi nelle sue navi molti de’ suoi, li quali estimò piú valorosi, sotto il governo di Poliperconte, il suo esercito ne mandò in Babilonia, ed esso pervenuto alla cittá d’un re chiamato Ambigeri, lui, ancora che molti con saette avvelenate n’uccidesse, vinse; e di quindi venendo alla seconda del fiotto del mare, pervenne alla foce del fiume chiamato Indo; e quindi per terra venendone, se ne tornò a Babilonia, dove sposò Rosanne, Luna delle figliuole del re Dario, E, mentre che esso tornava, gli fu nel cammino nunziato come gli ambasciadori de’ cartaginesi e degli altri popoli d’Affrica, e di piú cittá di Spagna, di Gallia, d’Italia, di Sardigna e di Cicilia, lui attendevano in Babilonia, li quali, spaventati dalle gran cose che da lui fatte si dicevano, disperavano la grazia e l’amistá sua. I romani non vi mandarono; anzi ne fa Tito Livio nel libro ottavo Ab urbe condita quistione, se esso fosse in Italia venuto, se i romani avessero potuto resistere alle sue forze o no; e per piú ragioni mostra che i romani e si sarebber da lui difesi, e forse l’avrebber cacciato. Quivi in Babilonia, da Cassandro, figliuolo d’Antipatro, si crede gli fosse dato veleno, del quale infra pochi di mori, e lasciò che il corpo suo ne fosse portato in Libia nel tempio di Giove Amrnone, e quivi seppellito.

Fu costui, quantunque vittorioso e magnifico signore, come assai appare nelle sue opere, occupatore non solamente delle piccole fortune degli uomini, ma de’ regni e delle libertá degli uomini, violentissimo; e, oltre a ciò, crudelissimo ucciditore non solamente de’ nemici, ma ancora degli amici, de’ quali giá