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a Roma, alla quale Sillano, tribuno d’una coorte pretoria, approssimandosi giá l’ora tarda, andò e quella intorniò d’uomini d’arme, ed entrato in casa, trovò lui con Pompeia Paulina sua moglie, e con due de’suoi amici mangiare. E mangiando egli, gli manifestò il comandamento fattogli dall’imperadore, cioè: uno, chiamato Natale, essere stato mandato a lui per parte di Pisone, ed esso essersi in nome di Pisone rammaricato perché da poterlo visitare fosse proibito. Al quale Seneca rispuose: sé essersi da ciò scusato, che fatto l’avea per cagione della sua infermitá e per disiderio di riposo; e che esso non avea avuta alcuna cagione per la quale la salute del privato uomo avesse preposta alla sua sanitá; e che il suo ingegno non era pronto né inchinevole a dover lusingare alcuno; e che di questo non era alcuno piú consapevole che Nerone, il quale spessissimamente avea provata piú la libertá di Seneca che il servigio. Le quali parole, presente Poppeia e Tigillino, il tribuno rapportò a Nerone; il quale Nerone domandò se Seneca s’apprestava a volontaria morte. Rispose: niuno segno di paura aver veduto in lui e niuna tristizia conosciuta nelle parole e nel viso. Per la qual cosa Nerone gli comandò che tornasse a Seneca, e gli comandasse che egli s’eleggesse la morte. Il quale tornatovi, non volle andare nella sua presenza, ma mandovvi uno de’ centurioni, che gli dicesse l’ultima necessitá: la quale Seneca senza alcuna paura ascoltò, e domandò che portate gli fossero le tavole del suo testamento. La qual cosa il centurione non sostenne. E perciò Seneca, voltosi a’ suoi amici, molte cose disse, e, poiché negato gli era di poter render loro grazia secondo i lor meriti, testò sé lasciar loro una di quelle cose le quali egli aveva piú bella, e ciò era la immagine della vita sua, della quale se essi si ricordassono, essi sempre seco porterebbono la fama delle buone e laudevoli arti e della costante loro amistá. E, oltre a questo, ora con parole e ora con piú intenta dimostrazione, cominciò le lor lacrime a rivocare in fermezza d’animo: domandogli dove i comandamenti della sapienza, dove per molti anni avesser lasciata andare la premeditata ragione intorno alle cose sopravvegnenti, e da cui non esser saputa la crudeltá di Nerone;