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può esser savio uomo d’aver lasciata l’arte, i difetti della quale sempre stanno dinanzi agli occhi degli uomini, e presa quella li cui errori la terra ricuopre. — Era, oltre a ciò, usato di prender piacere di vedere le due sue mogli per lui talvolta non solamente gridare, ma azzuffarsi insieme, e massimamente sé considerando, il quale era del corpo piccolo, e avea il naso camuso, le spalle pelose e le gambe storte, e appresso la viltá dell’animo loro; e il farle venire a zuffa insieme era qualora egli volea, sol che un poco d’amore piú all’una che all’altra mostrasse; di che esse una volta accortesi, e rivoltesi sopra lui, fieramente il batterono, e lui fuggente seguirono, tanto che la loro indegnazione sfogarono. Fu in costumi sopra ogni altro venerabile uomo, in tanto che solamente nel riguardarlo prendevano maraviglioso frutto gli uditori suoi, si come Seneca nella sesta pistola a Lucilio, dicendo: «Platone e Aristotile, e l’altra turba tutta de’ savi uomini, piú da’ costumi di Socrate trassero di sapienza che dalle sue parole». Fu nel cibo e nel bere temperatissimo, intanto che di lui si legge che, essendo una mortale e universale pestilenza in Atene, né mai si parti, né mai infermò, né parte d’alcuna infermitá senti. Sostenne con grandissimo animo la povertá, intanto che, non che egli mai alcun richiedesse per bisogno il quale avesse, ma ancora i doni da’ grandi uomini offertigli ricusò. Ed essendo giá vecchio, volle apprendere a sonare gli stromenti musici di corda: di che alcuno maravigliandosi gli disse: — Maestro, che è questo? aver veduti gli alti effetti della natura, e ora discendere alle menome cose musicali? — Al quale egli dimostrò sé estimare esser meglio d’avere tardi apparata quella arte che morire senza averla saputa. Né in alcuna etá potè sofferire d’essere ozioso; percioché, secondo scrive Tullio nel libro De senectute, egli era giá d’etá di novantaquattro anni, quando egli scrisse il libro, il quale egli appellò Pana letico.

Una cosa ebbe questo singulare uomo, la quale a certi ateniesi fu grave, ed ultimamente cagione della morte sua: egli non potè mai essere indotto ad avere in alcuna reverenza gl’iddii li quali gli ateniesi adoravano, affermando un cane,