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Il navicar l’autore con Virgilio nella pachile di Stige puote a questo senso adattarsi: essere di necessitá a ciascuno, il quale non vuole nel peccato dell’ira divenire, quanto piú leggiermente può, passare superficialmente le tristizie di questa vita, le quali sono infinite, sempre accompagnato dalla ragione, accioché, non essendosi in quelle oltre al dovere lasciato tirare, possa, senza pervenire nel peccato della ostinazione, del quale nel seguente canto si tratterá, trapassare a conoscer con dolcezza di cuore le colpe che ci posson tirare a perdizione. Della cittá di Dite, la qual dice l’autore che avea le mura di ferro, e de’ demòni, che sopra la porta di quella incontro a Virgilio uscirono, e, oltre a ciò, l’avergli serrata la porta della detta cittá nel petto: tutto appartiene a dover dire con quelle cose, le quali nel seguente canto della detta cittá dimostra. E però quivi, quanto da Dio conceduto mi fia, ne scriverò. FINE DEL SECONDO VOLUME.