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Delli quali l’una pecca nel disordinato diletto di mangiare i dilicati cibi senza saziarsi; e questi son simili alle bestie, le quali senza intermissione, sol che essi trovin che, il di e la notte rodono. E di questi cotali, quasi come di disutili animali, si dice che essi vivono per manicare, non manucan per vivere; e puossi dire questa spezie di gulositá, madre di oziositá e di pigrizia, si come quella che ad altro che al ventre non serve. La seconda pecca nel disordinato diletto del bere, intorno al quale non solamente con ogni sollecitudine cercano i dilicati e saporosi vini, ma quegli, ogni misura passando, ingurgitano, non avendo riguardo a quello che contro a questo nel Libro della Sapienza ammaestrati siamo, nel quale si legge: «Ne intuearis vinum, cum fiavescit in vitro color eius: ingreditur blande, et in novissimo mordebil, ut coluber». Per la qual cosa, di questa cosi fatta spezie di gulosi maravigliandosi, Iob dice: «Nu-.quid potest quis gustare, quod gustatimi affert mortevi? «Né è dubbio alcuno la ebrietá essere stata a molti cagione di vituperevole morte, come davanti è dimostrato. È questa gulositá madre della lussuria, come assai chiaramente testifica Ieremia, dicendo: «Venter mero aestuans, facile despumat in libidinem»; e Salomon dice: «Luxuriosa res est vinum, et tumultuosa ebrietas; quicumque in his delectabitur, non erit sapiens»-, e san Paolo, volendoci far cauti contro alla forza del vino, similmente ammaestrandoci, dice: «Noli/e inebriavi vino, in quo est luxuria». È ancora questa spezie di gulositá pericolosissima, in quanto ella, poi che ha il bevitore privato d’ogni razionai sentimento, apre e manifesta e manda fuori del petto suo ogni secreto, ogni cosa riposta e arcana: di che grandissimi e innumerabili mali giá son seguiti e seguiscono tutto il di. Ella è prodiga gittatrice de’suoi beni e degli altrui, sorda alle riprensioni, e d’ogni laudabile costume guastatrice. La terza maniera è de’ golosi, li quali, in ciascheduna delle predette cose, fuori d’ogni misura bevendo e mangiando e agognando, trapassano il segno della ragione; de’ quali si può dire quella parola di Iob: «Bibunt indignationem, quasi aquam». Ma, secondo che si legge nel salmo: «Amara erit potio bibentibus Ulani»; e come Seneca a Lucilio scrive nella