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Troia. Ed essendo divenuto grande, quivi primieramente usò la dimestichezza d’una ninfa del luogo chiamata Oenone, e di lei ebbe due figliuoli, de’ quali chiamò l’uno Dafne e l’altro Ideo. E, dimorando in abito pastorale in quella selva, addivenne un grande e famoso giudice, e ogni quistione tra qualunque persona con maravigliosa equitá decideva. Per la qual cosa perduto quasi il vero nome, cioè Alessandro, era da tutti chiamato Paris, quasi «eguale». E in questo tempo che esso cosi dimorava, avvenne che Pcleo menò per moglie Teti, e alle sue nozze invitò Giunone, Pallade e Venere. Di che gravandosi la dea della discordia, che essa non v’era stata chiamata, preso un pomo d’oro, vi scrisse su che fosse dato alla piú degna, e gittollo sopra la mensa, alla quale esse sedevano. Di che, lette le lettere, ciascuna delle tre dèe diceva a lei, si come a piú degna, doversi il detto pomo. Ed essendo tra loro la quistione grande, andarono per lo giudicio a Giove, il quale Giove non volle dare, ma disse loro: — Andate in Ida, e quivi è un giustissimo uomo chiamato Paris; quegli giudicherá qual di voi ne sia piú degna. — Per la qual cosa le tre dèe andarono nella selva, e trovarono Paris in una parte di quella chiamata Mesaulon, e quivi proposero davanti a lui la lor quistione, dicendo Giunone: — Io sono dea de’ regni: se tu dirai me piú degna di queste altre di questo pomo, io ti farò signore di molti. — D’altra parte diceva Pallade: — Io sono dea della sapienza: se tu il dái a me, io ti farò tutte le cose cognoscere e sapere. — Venere similemente diceva: — Io sono dea d’amore: se tu dái, come a piú degna, il pomo a me, io ti farò avere l’amore e la grazia della piú bella donna del mondo. — Le quali udite da Paris, dopo alcuna diliberazione, egli diede il pomo a Venere, si come a piú degna. Per la qual cosa, come appresso si dirá, egli ebbe Elena. Fu costui, secondo che Servio dice essere stato da Nerone raccontato nella sua Troica, fortissimo, intanto che esso nelle contenzioni agonali, le quali si facevano a Troia, esso vinceva ogni uomo, ed Ettore medesimo. Il quale, turbatosi d’essere da lui stato vinto, credendo lui essere un pastore, messo mano ad un coltello, il volle uccidere, e arebbel fatto;