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nei fiori, li quali per téma del freddo, tutti, come il sole comincia a declinare, si richiudono: «poi che’l sol gl’imbianca», con la luce sua, venendo sopra la terra. E dice «imbianca», per questo vocabolo volendo essi diventar parventi, come paiono le cose bianche e chiare, dove l’oscuritá della notte gli teneva, quasi neri fossero, occulti. «Si drizzali tutti»; percioché, avendo il gambo loro sottile e debole, gli fa il freddo notturno chinare, ma, come il sole punto gli riscalda, tutti si drizzano, «aperti in loro stelo», cioè sopra il gambo loro. «Tal mi fec’io», quale i fioretti, «di mia virtute stanca», per la viltá clic m’era nel cuor venuta; «E tanto buono ardire al cuor mi corse», per li conforti di Virgilio, «Ch’io cominciai», a dire, «come persona franca», forte e disposta ad ogni affanno: — «O pietosa colei», cioè Beatrice, «che mi soccorse», col sollecitarti, e mandarti a me; «E tu», fosti, «cortese, che ubbidisti tosto Alle vere parole, che ti porse!»; perciochc, dove venuto non fossi, io era veramente per perire. «Tu rii’hai con disiderio il cuor diposto Si al venir con le parole tue», cioè con i tuoi Citili conforti e vere dimostrazioni, «Ch’io son tornato nel primo proposto», cioè di seguirti. «Or va’, ch’un sol volere è d’amendue». Non si potrebbe in altra guisa bene andare, se non fosser la guida e ’l guidato in un volere. «Tu duca», quanto è nell’andare, «tu signore», quanto è alla preeminenza e al comandare, «e tu maestro», — quanto è al dimostrare; percioché uficio del maestro è il dimostrare la dottrina e il solvere de’ dubbi. «Cosí gli dissi: e, poi che mosso fue». Qui comincia la sesta ed ultima parte di questo canto, nella quale l’autore mostra come da capo riprese il cammino con Virgilio. «Entrai», con Virgilio, «per lo cammino alto», cioè profondo, «e silvestro», percioché in quello luogo né albergo né abitazione alcuna si trovava.