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Dice adunque che, essendo nella predetta meditazione, diliberato di lasciare la valle oscura e di salire al monte luminoso e chiaro, cioè alla dottrina apostolica ed evangelica, essere state tre bestie quelle che il suo salire impedivano: una leonza, o lonza che si dica, e un leone e una lupa. Le quali, quantunque a molti e diversi vizi adattare si potessono, nondimeno qui, secondo la sentenzia di tutti, par che si debbano intendere per questi: cioè per la lonza il vizio della lussuria, e per lo leone il vizio della superbia, e per la lupa il vizio dell’avarizia. E, percioché io non intendo di partirmi dal parere generale di tutti gli altri, verrò a dimostrare come questi animali a’ detti vizi si possono appropriare; e poi, se all’autore parrá di dovergli attribuire, rimangasi nello arbitrio di ciascuno. Sono adunque nella lonza, tra l’altre molte, quattro singolari proprietá: ella primieramente è leggierissima del corpo, tanto, o piú, quanto alcun altro quadrupede sia; appresso, la sua pelle è leccata, piana e di molte macchie dipinta; oltre a questo, ella è maravigliosamente vaga del sangue del becco; ultimamente, eila è di sua natura crudelissimo animale. Le quali quattro proprietá, secondo il mio giudicio, sono mirabilmente conformi al vizio della carne: percioché la sua leggerezza è a dimostrare la levitá degli animi di quelle persone o che con l’appetito o che attualmente con esso vizio s’inviscano; imperoché essi alcuna volta ardon tutti, da fervente disiderio della cosa amata accesi, e alcun’altra son piú freddi che la neve, cessando punto la speranza della cosa amata; e quasi in un momento ridono e cantano, e lamentansi e piangono, e cosí insuperbiscono subito, e subitamente diventano umili; ora turbati garrono e gridano, e di presente mitigati lusingano. Le quali levitá ottimamente discrive Plauto in una sua commedia chiamata Cistellaria, dove un giovane, piú che uopo non gli era, invescato in questa pania, dice cosí: Credo ego amorem primum apud homines carnificinam coynmentum, hanc ego de me coniecturam domi facio, ne foras quaeram, qui omnes homines supero, atque antideo cruciabilitatibus animi. Iactor, crucior, agitor, stirnulor, vexor vi amoris totus, miser. G. Boccaccio, Scritti danteschi - 1. 12