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essere antichi, con rami lunghi e ravvolti, contessuti e intrecciati intra se stessi, e similemente piena di pruni, di tribuli e di stecchi, senza alcuno ordine cresciuti, e in qua e in lá distesi: per le quali cose era aspra cosa e malagevole ad andare per quella; e in quanto dice «forte», dichiara lo ’mpedimento giá premostrato, vogliendo per l’asprezza di quelli, essa esser forte, cioè difficile a potere per essa andare e fuori uscirne. E questo dice esser tanto, «Che nel pensier», cioè nella rammemorazione d’esservi stato dentro, «rinnova la paura». Umano costume è, tante volte da capo rimpaurire quante l’uom si ricorda de’pericoli ne’quali l’uomo è stato.] [«Tanto è amara», non al gusto ma alla sensibilitá umana, «che poco è piu morte». Ed è la morte, secondo il filosofo, l’ultima delle cose terribili, intanto che ciascuno animale naturalmente ad ogni estremo pericolo si mette per fuggirla. Adunque, se la morte è poco piú amara che quella selva, assai chiaro appare lei dovere essere molto amara, cioè ispaventevole ed intricata: le quali cose prestano amaritudine gravissima di mente. «Ma, per trattar del ben ch’io vi trovai». Maravigliosa cosa pare quella che l’autore dice qui, e cioè che egli alcun bene trovasse in una selva tanto orribile quanto egli ha mostrato esser questa; e, percioché egli nella lettera non esprime qual bene in quella trovasse, assai si può vedere questo bene trovato da lui convenirsi trarre di sotto alla corteccia litterale; e perciò, dove di questa parte apriremo l’allegoria, chiariremo quello che qui voglia intendere. «Dirò dell’altre cose», cioè che non sono bene, «ch’io v’ho scorte», cioè vedute; e questo altresi si conoscerá neU’allegoria.] [«I’ non so ben ridir com’ io v’entrai». In questa partè mostra l’autore donde gli nascesse speranza di potersi partire di quel luogo, e primieramente risponde a una tacita quistione. Potrebbe alcuno domandare: — Se questa selva era cosí paurosa e amara cosa, come v’entrastú entro? — A che egli risponde sé non saperlo, e assegna la ragione, dicendo: «Si era pien di sonno in su quel punto, Che la verace via», la quale mi menava lá dove io dovea e volea andare, «abbandonai».] G. Boccaccio, Scritti danteschi - 1. 9