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92 l'elegia di madonna fiammetta


sospesa a molte cose, sí m’era ella grandissima, che è egli a pensare che il fervente disio di rivederlo avesse sí di me tolta la vera conoscenza, che, certamente sappiendo lui in quelle parti non essere, pur possibile che vi fosse argomentassi, e come se ciò fosse senza alcuna contradizione vero, procedea a riguardare se io il vedessi? Egli non vi rimaneva alcuna barca, delle quali quale in una parte volante e quale in un’altra, era cosí il seno di quel mare ripieno come il cielo di stelle qualora egli appare piú limpido e sereno, che io, prima a quella con gli occhi che con la persona, riguardando, non pervenissi. Io non sentiva alcuno suono di qualunque strumento, quantunque io sapessi lui se non in uno essere ammaestrato, che con gli orecchi levati non cercassi di sapere chi fosse il sonatore, sempre immaginando quello essere possibile d’essere colui il quale io cercava. Niuno lito, niuno scoglio, niuna grotta da me non cercata vi rimaneva, né ancora alcuna brigata. Certo io confesso che questa talora vana e talora infinta speranza mi toglieva molti sospiri, li quali, poi che da me era partita, quasi come se nella concavitá del mio cerebro raccolti si fossero, quelli che uscire doveano fuori, convertiti in amarissime lagrime per li miei dolenti occhi spiravano. E cosí le finte allegrezze in verissime angoscie si convertiano.

La nostra cittá, oltre a tutte l’altre italiche, di lietissime feste abbondevole, non solamente rallegra li suoi cittadini o con nozze o con bagni o con li marini liti, ma, copiosa di molti giuochi, sovente ora con uno ora con un altro letifica la sua gente. Ma tra l’altre cose nelle quali essa appare splendidissima, è nel sovente armeggiare. Suole adunque essere questa a noi consuetudine antica, che poi che i guazzosi tempi del verno sono trapassati e la primavera con li fiori e con la nuova erba ha al mondo rendute le sue perdute bellezze, essendo con questo li giovaneschi animi per la qualitá del tempo raccesi e piú che l’usato pronti a dimostrare li loro disii, di convocare li di piú solenni alle logge de’ cavalieri le nobili donne, le quali, ornate delle loro gioie piú care, quivi s’adunano. Né credo che piú nobile o ricca cosa fosse a riguar-