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CAPITOLO V

Nel quale la Fiammetta dimostra come alli suoi orecchi pervenne Panfilo aver presa moglie, mostrando appresso quanto del suo non tornare disperata e dolorosa vivesse.

Lievi sono state infino a qui le mie lagrime, o pietose donne, e i miei sospiri piacevoli a rispetto di quelli, i quali la dolente penna, piú pigra a scrivere che il cuore a sentire, s’apparecchia di dimostrarvi. E certo, se bene si considera, le pene infitto a qui trapassate, piú di lasciva giovane che di tormentata quasi si possono dire; ma le seguenti vi parranno d’un’altra mano. Adunque, fermate gli animi, né vi spaventino le mie promesse, che, le cose passate parendovi gravi, voi non vogliate ancora vedere le seguenti gravissime; e in veritá io non vi conforto tanto a questo affanno, perché voi piú di me divegniate pietose, quanto perché piú la nequizia di colui per cui ciò m’avviene conoscendo, divegniate piú caute in non commettervi ad ogni giovane. E cosí forse ad un’ora a voi m’obbligherò ragionando, e disobbligherò consigliando, ovvero per le cose a me avvenute ammonendo e avvisando.

Dico adunque, donne, che con cosí varie immaginazioni, quali poco avanti avete potute comprendere nel mio dire, io stava continuo, quando di piú d’uno mese essendo il tempo trapassato promesso a me cosí dall’amato giovane un di novelle pervennero. Io andata a visitare con animo pio sacre religiose, e forse per fare per me porgere a Dio pietose orazioni, che o rendendomi Panfilo o cacciandolmi della mente