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capitolo ii 43


E questo detto, me con volontá somma abbracciò ultimamente dicendo «addio» con rotta voce. Poi che egli cosí ebbe parlato, io misera, vinta dall’angoscioso pianto, appena potè’ rispondere alcuna cosa; ma pure sforzandomi, tremanti parole pinsi fuori della trista bocca in cotale forma:

— La fede a’ miei orecchi promessa, e data alla mia destra mano dalla tua, fermi Giove in cielo con quello effetto che Iside2 fece li prieghi di Teletusa, e in terra, come io disidero e come tu chiedi, la faccia intera. —

E accompagnato lui infino alla porta del nostro palagio, volendo dire «addio», subito fu la parola tolta alla mia lingua, e il cielo agli occhi miei. E quale succisa rosa negli aperti campi infra le verdi fronde sentendo i solari raggi cade perdendo il suo colore, cotale semiviva caddi nelle braccia della mia serva, e dopo non picciolo spazio, aiutata da lei fedelissima, con freddi liquori rivocata al tristo mondo, mi risentii; e sperando ancora d’essere alla mia porta, quale il furioso toro ricevuto il mortal colpo furibondo si leva saltando, cotale io stordita levandomi, appena ancora veggendo, corsi, e con le braccia aperte la mia serva abbracciai credendo prendere il mio signore, e con fioca voce e rotta dal pianto in mille parti dissi: «O anima mia, addio».

La serva tacque, conoscendo il mio errore; ma io poi, ricevuta veduta piú libera, il mio avere fallito sentendo, appena un’altra volta in simile smarrimento non caddi.

Il giorno era giá chiaro per ogni parte, onde io nella mia camera senza il mio Panfilo veggendomi, e intorno mirandomi per ispazio lunghissimo, come ciò avvenuto si fosse ignorando, la serva dimandai che di lui avvenuto fosse, ed ella piagnendo rispose:

— Giá è gran pezza, che egli qui nelle sue braccia recatavi, da voi il sopravvegnente giorno con lagrime infinite a forza il divise. —

A cui io dissi:

— Dunque si è egli pure partito? —

— Sí, — rispose la serva.