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230 | l'elegia di madonna fiammetta |
poco gli dee calere, che altri piú cerchi chiarificarla. Non per
tanto non è che ’l tempo non si sia ingegnato, con la sua costumata voracitá, non dirò di trangugiar né di spegnere (essendo
stata da’ bianchi cigni condotta salva al tempio la medaglia del
nome suo), ma con alcun neo bruttar la sua candidezza, e con
qualche maglia, come si dice, offuscargli alquanto di questa sua
chiarissima luce. I nei e le maglie, che nella bianchezza e nella
chiarezza delle sue opere si ritruovano, per via delle stampe e
forse prima, per l’ignoranza de’ copiatori, in esse ha potuto inducerle il tempo, ma non ve l’ha giá potuto poi mantenere. Ed io
ora mi credo d’esser stato assai buon contrastator di sua pessima
volontá, rendendole al Mondo, suo malgrado, purgate da ogni
macchia, e chiare, e lucenti come fur mai, avendo in questa operato, senza riguardo di spesa né d’altra cosa, e nell’altre opere
altresí, operando pur tuttavia che con testi a penna, e da persone
intendenti, sieno riscontre, e ridotte alla lor prima e vera lettura:
e questa delle tre ragioni è la prima. La seconda è questa altra,
senza contrasto, che mandando fuori novellamente questa sua
opera da lui intitolata Fiammetta, nella quale, sotto nome di
Panfilo, egli descrive un amor di sua gioventú, e amor veramente
da gloriarsene, io la mandi fuora segnata in fronte dal nome d’uno
de’ rami del materno suo albero, qual siete voi, estratto del chiaro
sangue dell’antica stirpe de’ Nerli, e giovane, e forse non men
che si foss’egli in quel tempo, ora acconcio ad amare. La terza
sí è il contrassegnarla di nome studioso di questa lingua come
ce ne fa ampia fede la vostra Desiosa Accademia che, sotto ’l
vostro reggimento, dando opera conti nova a tali studi, con progressi degni di tutta quella nobilissima gioventú, si viene avanzando. Ricevete adunque si fatto dono, cosí volentier com’io il
vi presento, e dietro alle vestigie d’un cotanto chiaro parente,
sforzatevi, si come egli, di poggiare a famosa gloria, che N. S. vi
doni intera felicitá.»
La mancata esplorazione delle edizioni precedenti a questa del 1594 ha fatto si che si ripetesse dal Moutier in poi l’affermazione che in essa per la prima volta era apparsa la divisione dell’opera in sette libri, e che il testo aveva subito delle forti modificazioni rispetto alla lezione dei manoscritti. Ma la divisione in sette libri risale all’edizione di messer Tizzone, e la novitá apportata da Filippo Giunti consiste soltanto nei sommari premessi ai vari libri quali si trovavano giá nell’edizione Giuntina