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capitolo vii 145


— O misera, quali annunzii, quali impeti, non bisognandoti, venturi t’infigni? Presta la credula mente a’ beni venuti: che che questo sia che tu t’annunzi, tardi temi e senza profitto. —

Adunque, da questo ragionare innanzi io mi diedi sopra la cominciata letizia, e li tristi pensieri, come potei, da me cacciai; e sollecitata la cara balia che intenta stesse della tornata del nostro amante, trasmutai li tristi vestimenti in lieti, e di me cominciai ad avere cura, acciò che da lui tornato per afflitto viso rifiutata non fossi. La pallida faccia cominciò a riprendere il perduto colore, e la partita grassezza cominciò a ritornare, e le lagrime, del tutto andate via, se ne portarono con loro il purpureo cerchio fatto d’intorno agli occhi miei; e gli occhi nel debito luogo tornati riebbero intera la luce loro, e le guancie per lo lagrimare divenute aspre si ritornarono nella prístina loro morbidezza; e li nostri capelli, avvegna che subitamente aurei non tornassero, nondimeno l’ordine usato ripresero; e li cari e preziosi vestimenti, lungamente senza essere stati adoperati, m’adornarono. Che piú? Io con meco insieme rinnovai ogni cosa, e nella prima bellezza e stato quasi mi ridussi tutta, tanto che le vicine donne, e li parenti, e il caro marito n’ebbero ammirazione, e ciascheduno in sé disse: «Quale spirazione ha di costei tratta la lunga tristizia e malinconia, la quale né per prieghi, né per conforti mai per addietro da lei si potè cacciar via? Questo non è meno che gran fatto»; e con tutto il maravigliare n’erano lietissimi. La nostra casa lungamente stata trista per la mia tribulazione, tutta meco ritornò lieta; e cosí come il mio cuore era mutato, cosí tutte le cose di triste in liete pareva che si mutassero.

Li giorni, che piú che l’usato mi pareano lunghi, per la presa speranza della futura tornata di Panfilo, trapassavano con passo lento; né piú volte furono li primi da me contati, che fossero quelli, ne’ quali io alcuna volta in me raccolta, alle preterite tristizie pensando e agli avuti pensieri, sommamente in me li dannava, cosí dicendo:

— Oh quanto male per addietro ho pensato del caro