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capo v. 91


Nella sua cella risplendette mai sempre la più rigida semplicità claustrale; e dopo morto, assai curiosi andati a vederla stupirono come un uomo, oggetto di tanti amori e di tanti odii, visitato da principi, liberalmente provisionato dalla repubblica, fosse vissuto così poveramente. Un letticciuolo, una cassa dove teneva le sue scritture e che spesso gli serviva da letto, un tavolino, una scranna, un crocifisso, un teschio umano, un quadretto rappresentante Cristo nell’orto, erano i soli mobili; i suoi libri, quelli del convento e i prestati o donati.

Avvegnachè i monaci facessero professione di umiltà, non hanno mai saputo esimersi dall’orgoglio dei titoli fastosi. Nella Tebaide e nella Siria, culla del monachismo, nacque l’uso di dare il nome di Abba padre ad ogni capo di comunità monastica, poi ad ogni monaco distinto, indi a tutti; ma i Greci mutarono questo titolo per un altro, Calogeros o buon vecchio, ancor più reverendo stante il rispetto che hanno i Levantini per la vecchiaia. In Occidente il titolo originario di abate restò ai capi del monastero, e la sua traduzione, cioè Padre, diventò comune a tutti i monaci. San Francesco non volle che i suoi seguaci si chiamassero Padri, ma Frati, che nella lingua italiana di quel secolo suonava fratelli; ma non perseverarono, nè guari andò che tutto il mondo fu pieno di padri che non erano mariti. La voglia di superbire sotto veste di umiltà aggiunse in appresso il titolo di maestro; a tal che ogni fraticciuolo che sapeva quattro parole di teologia si enunciava fastosamente un padre-maestro. Ma il Sarpi amante della semplicità, e da tali ridicoli orgo-