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capo iv. 67

tore una breve digressione, che non sarà l’ultima. La filosofia in Italia nacque lungo tempo prima che non in Francia o in Inghilterra; ma in un secolo inclinato più alla immaginazione che alla osservazione, e però i nostri filosofi avvilupparono il buono che dissero fra mezzo i sogni e le chimere di trascendentalismo platonico, di sottigliezze aristoteliche, di magia naturale, di astrologia e di tali altre pazziuole in voga a quella età. Ma sarebbe ottimo pensamento se una società di dotti Italiani si prendesse ad estrarre da loro tutto ciò che hanno scritto di buono o di singolare e ne formassero un florilegio illustrato di opportune annotazioni intorno allo stato della scienza a quei tempi e a’ suoi progressi ulteriori, e come quelle o scoperte o aberrazioni stesse possono avervi contribuito. Quante idee di cui si fanno belli gli oltremontani troverebbonsi più o meno dichiarate nelle opere ora ignote di Marsilio Ficino, di Francesco Patrizio, di Cardano, di Campanella, di Giordano Bruno, di Pico della Mirandola e di altri assai! In Francia o in Inghilterra un lavoro simile sarebbe accolto con vero entusiasmo; in Italia, mi duole a dirlo, bisognerebbe spingerlo per farlo gradire, stante quello spirito d’inerzia e quella indifferenza per la gloria nazionale che caratterizza gli Italiani. Pure è necessità che si faccia. I Tedeschi pel tenebroso Kant hanno scritto commenti sopra commenti e persino un dizionario apposito per intenderlo; e il nostro Vico, molto maggiore di Kant, giacque finora negletto e sconosciuto e più lodato per tradizione che per pratica; e adesso soltanto grazie alle cure del dottore