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capo iii. 47

della giurisprudenza civile e canonica, toccò in particolare di stendere tutto il capo che tratta de’ giudizi, ed è il xxvii delle costituzioni, che fece le meraviglie de’ giureconsulti più consumati, e, dice il Lomonaco, avrebbe fatto lo stupore della posterità, se egli anzichè essere il legislatore di un monastero lo fosse stato di un popolo. «Quanti uomini (continua) nelle picciole imprese mostrarono eminenza di sapere, eppure per la infelicità delle circostanze i nomi loro non pervennero a tardi nepoti! Al contrario, se i Licurghi, i Soloni, i Numa, anzichè essere ordinatori di repubbliche e duci di nazioni, fossero stati guardiani di convento, qual mostra avrebbero fatta negli annali della gloria?» Quando l’uomo è genio, lascia in ogni sua opera luminose scintille del suo fuoco; e fra quelle da me scorte nell’accennato lavoro di Frà Paolo, tralasciando la precisione, rara a que’ tempi nel definire le colpe o i delitti e il sensato metodo di procedura per conoscerli e vendicarli, mi piace di ricordare una sua massima riprodotta con più ampia luce filosofica da due illustri italiani, Beccaria e Filangieri, ed è che: «Il carcere debbe essere ad emendazione del reo, non a sua distruzione; ed il magistrato che contro di lui incrudelisce, debbe essere scacciato siccome indegno di esercitare pubblico ufficio». Ma fa dispiacere che a canto a così aurea massima si vegga l’altra ferrea di usare la tortura per conoscere la verità. Quantunque l’autore raccomandi la prudenza e insinui il pericolo che la ferità de’ tormenti non faccia dire all’incolpato quello che non è vero, è pur sempre un tri-