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capo ii. 31

dal tempo e dalle mutate opinioni: ed io ho sentito un gesuita dire, la religione essere vecchia; ma chi saprà ritrarla a un principio nuovo, e conformarla ai pensieri del secolo, e adattarvi una setta, qualunque sia il suo scopo, avrà in pochi anni centomila fanatici capaci a rovesciare tutti i regni del mondo. Il pensiero di quel gesuita non è una chimera, e gli eventi del passato sono garanti per le probabilità dell’avvenire. Sta a vedersi chi scoprirà un così prezioso o pericoloso secreto.

Essendo l’obbedienza tra i frati cieca, passiva, il comandare sarebbe dispotico, l’obbedire da schiavo, se non fosse temperato dallo spirito democratico e dalla massima, diventata religione, di subordinare gli orgogli personali alla disciplina e agli interessi della setta. Nella quale il superiore comanda all’individuo di mettersi in ginocchio, di baciare o scrivere colla lingua lunghe croci sulla terra, di chieder venia de’ suoi falli, ed egli, senza premetter scusa o discolpe, obbedisce di corto: gli comanda di uscire in viaggio senza dargli tempo di salutare l’amico, ed egli senza obbiettar risposta, senza danari, a piedi, sotto stagione inclemente, obbedisce e parte. Allo stesso rigore di disciplina sono subordinati i gradi minori verso il maggiore; e il generale de’ frati, nelle cui mani vanno ad unirsi tutte le fila del comando, comechè riconosca il suo grado dalla fratrìa, è dal solo pontefice che riceve la facoltà di esercitarlo, ed è a lui che presta il giuramento di fedeltà.

E qui ricordo di nuovo la differenza tra i frati e i monaci. I quali ultimi rappresentando il governo